Bambini e scuola

Audiometria musicale e diagnosi della sordità nei neonati

L'audiometria musicale potrebbe aiutare a diagnosticare la sordità in età preverbale in modo più efficace rispetto alla classica audiometrica: il perché ce lo spiega il dott. Messina.
Foto Mancante
Dott. Aldo Messina 22/02/2016 09:26
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Le moderne acquisizioni dell’otoneurologia sono destinate ad incidere anche sui programmi d’intervento riabilitativo, psicomotorio e logopedico del bambino con sordità preverbale e gettano le basi per una innovativa metodica audiologica: l’audiometria musicale.


Tali studi hanno il fine di evitare che questi bambini presentino disturbi nel versante prosodico del linguaggio (nel ritmo della dizione a volte lento a volte rapido, nel ritmo dell’eloquio che può essere modificato dalla disposizione delle pause, dalla scarsa intonazione e nella cattiva ripartizione degli accenti) e dimostrano l’utilità, in fase diagnostica e riabilitava, a completamento del programma audio-protesico-logopedico “classico”, del coinvolgimento dell’area ritmico-musicale e, ove occorra, degli esercizi di riabilitazione posturale.


Per comprendere al meglio sarà necessario fare una premessa.


1
Differenza tra capacità uditiva e funzione uditiva


L’audiometria tonale liminare, usata oggi quale test clinico per documentare le sordità, si è dimostrata essere uno strumento sensibile, specifico e di basso costo, ma presenta un limite in quanto, impiegando per la stimolazione toni puri che, ad eccezione degli “echi cocleari”, non sono presenti in natura, misura esclusivamente la risposta dell’apparato sensoriale alla pressione sonora. In altre parole: la capacità uditiva.


Per questo motivo, l’esame audiometrico non si è dimostrato efficace nell’indicare le possibilità comunicative verbali del bambino sordo. Ed è frequente che bambini, a parità di perdita uditiva in dB, di protesi applicata e di approccio logopedico, rispondano con risultati diversi alla terapia logopedica (Gitti).


Per valutare la prognosi logopedica sarebbe più idoneo l’uso di test audiometrici in grado di valutare non la capacità ma la funzione uditiva.


O. Schindler ritiene che, per determinare la funzione uditiva, l’esame dovrebbe prevedere l’analisi, oltre che della capacità uditiva con toni puri, di altre attività neurologiche connesse all’evento sonoro:


  • la coordinazione uditivo-motoria;
  • la separazione figura-sfondo;
  • la costanza timbrica;
  • la separazione silenzio-sonorità;
  • la discriminazione suono-rumore;
  • la distinzione tra fenomeni periodici e aperiodici;
  • la discriminazione tra la sonorità continua e impulsiva;
  • la discriminazione tra sonorità continue e periodicamente interrotte;
  • la percezione della dinamica melodica;
  • la percezione della dinamica prosodica.

Lo studio della funzione uditiva è pertanto preliminarmente condizionato dall’analisi della “coordinazione uditivo-motoria”, cioè delle reazioni motorie del nostro corpo alla stimolazione sonora.


Dover valutare la correlazione tra suono e movimento rimette subito in gioco, nella percezione acustica, il sistema dell’equilibrio, non essendo possibile ipotizzare un movimento coordinato senza la sua “collaborazione”.

A questo punto tornano in mente gli studi di A. Azzi, il quale ha descritto l’orecchio interno, nella sua globalità uditiva e vestibolare, come il recettore dell’accelerazione e del movimento.

Secondo l’ipotesi, le accelerazioni angolari attivano i canali semicircolari; le accelerazioni lineari, se a frequenza infracustica, attivano il sacculo endolinfatico, se a frequenza acustica (campo uditivo), attivano

la coclea.


A conferma di un’erronea demarcazione (se intesa in senso radicale) tra sensazione uditiva e vestibolare, riferiamo gli studi di Y. Cazals. L’autore ha descritto un’esperienza secondo la quale, dopo la somministrazione di 450 mg/kg/die di un farmaco ototossico, l’amikacina, ad un gruppo di cavie, queste non presentavano alcuna patologia vestibolare ma soltanto una sordità confermata dalla quasi totale distruzione delle cellule cocleari. L’autore ha dimostrato che in questi animali da esperimento le risposte elettrofisiologiche uditive, evocate alla finestra rotonda e alla corteccia uditiva, potevano ancora essere attivate utilizzando uno stimolo acustico di 70 dB HL.


Lo studio dei potenziali evocati, esaminati nei parametri di latenza, adattamento e range frequenziale, ha evidenziato, infatti, che si trattava di risposte compatibili con la normalità. Diversi studi sono stati condotti in seguito per comprendere il motivo per il quale le risposte uditive fossero presenti nonostante l’estesa lesione cocleare.Utilizzando metodiche di distruzione cocleare selettiva, mediante iniezione dalla finestra rotonda di farmaci ototossici, si è giunti alla conclusione che la risposta acustica evidenziata proveniva dall’organo vestibolare e in particolare dal sacculo.


Ricerche in questa direzione erano state condotte da Bekesi, Blecker, Ashroft e Hallpicke. Bocca nel 1953 ha documentato la presenza nei ratti di fibre vestibolari che penetravano nel nervo cocleare dall’espansione

modiolare del ganglio vestibolare. Per non dimenticare l’effetto Tullio.


Dimostreremo in seguito che anche l’esperienza clinica avvalora l’importanza di studiare la coordinazione uditivo-motoria dei sordi preverbali, anche con l’impiego di test stabilometrici. L’analisi della funzione uditiva, esaurita la precedente esperienza, deve anche prevedere test idonei a valutare la separazione figura-sfondo, la costanza timbrica, la separazione silenzio-sonorità, la discriminazione suono-rumore, la distinzione tra fenomeni periodici e aperiodici, la discriminazione tra la sonorità continua e impulsiva, la discriminazione tra sonorità continue e periodicamente interrotte, la percezione della dinamica melodica e infine la percezione della dinamica prosodica.


Tutti parametri che potremmo ottenere se utilizzassimo in audiometria stimoli rappresentati da toni musicali, pertanto armonici. Il timbro è uno dei parametri fondamentali dello stimolo sonoro (unitamente alla frequenza e all’intensità), fisicamente identificabile dal numero d’armoniche prodotte rispetto alla frequenza fondamentale. Il timbro, la qualità del suono, fa la differenza tra un violino di Stradivari e quello di scarso valore. In nessun caso questo parametro è esaminato dall’audiometria tonale liminare.


Riferendoci all’importanza del timbro nella percezione uditiva, uno di noi, A. Carré, ha osservato che, proponendo a bambini con sordità preverbale ad esempio il tono “La 4” prodotto da un pianoforte e quello emesso da violino, pur essendo i due suoni di identica frequenza (La 4), durata, intensità (misurata con fonometro), sia nelle condizioni di orecchio nudo che con protesi e cuffie, il bambino talvolta percepiva, addirittura con fastidio, il violino ma non percepiva neanche minimamente il suono del pianoforte. Se ne deve dedurre che il solo timbro può modificare la percezione di un suono, ma soprattutto che ognuno di noi costruisce un proprio modo di “udire” legato anche al timbro ottimale.

Si conferma l’ipotesi secondo la quale, per valutare la funzione uditiva, sarebbe meglio utilizzare le armoniche musicali e non i toni puri come nell’audiometria tonale liminare.


Va anche detto che, se per misurare la capacità uditiva è utile che l’esame venga eseguito in ambiente silente (cabina), questo non è più necessario per la funzione uditiva, essendo invece in questo caso indicato esaminare la separazione figurasfondo, e quindi la capacità di estrapolare il segnale dal rumore, il silenzio dalla sonorità. Un primo approccio risolutivo al problema si deve a P. Guberina e alla sua audiometria verbo-tonale. Il messaggio acustico viene, in questa metodica, filtrato per bande d’ottava, alla ricerca del livello fonetico meglio impiegato da quel bambino per la percezione. Si cercherà così di identificare, singolarmente, nell’ambito dello spettrogramma sonoro, il tipo di armoniche che giocano il ruolo più importante nella percezione della parola. Ad esempio, la vocale “i” ha la frequenza fondamentale sui 160 Hz e varie armoniche su altre frequenze.


Posto che molte di queste, a causa della sordità, non saranno percepite, si cercherà di identificare, tra tutte le armoniche della “i”, quelle utilizzate per la decodificazione.


2
Audiometria strumentale


Uguale il fine, ma non il mezzo, dell’audiometria strumentale proposta e brevettata da uno di noi (A. Carré). Essa si è avvalsa inizialmente, per evitare alterazioni del timbro sonoro determinate sia dallo strumento sia dallo strumentista, di suoni registrati su un compact disc (CD). Quasi si trattasse di un’audiometria vocale ove al posto delle parole o frasi veniva proposto il suono di uno strumento. Si è però subito evidenziata una differenza in frequenza tra questi toni e quelli impiegati in audiometria. Ad esempio, se la nota Si del pianoforte è pari a 123,5 Hz, l’audiometro propone 125 Hz. Analogamente, se il violino emette un Si 5 pari a 1976 Hz, l’audiometro utilizza 2000 Hz. Per escludere che fosse questa la causa delle diverse risposte dei soggetti esaminati con l’audiometria strumentale e con la tonale, si è proposta una nuova metodica che si avvalesse di strumenti musicali elettronici, il cui suono potesse pertanto essere “tarato” in analogia alle frequenze audiometriche.


Il test di audiometria strumentale di Alain Carré si avvale di tre serie di suoni diversi, la prima composta da suoni di strumenti musicali a corda e a fiato, la seconda da strumenti musicali a corda e la terza da strumenti musicali a fiato. Ogni suono ha la durata di 10” con un intervallo di 10” tra uno e l’altro. Si è escluso l’impiego degli strumenti a percussione, per evitare che le risposte fossero determinate dall’onda d’urto, e anche perché per questi strumenti la frequenza e l’intensità non possono essere standardizzate.


Volendosi trasformare quest’esperienza in una metodica audiometrica medico-clinica, entrambi gli autori di quest’articolo hanno elaborato un progetto per realizzare un vero e proprio audiometro musicale, chiamato “Armonium”. Sfruttando particolari chips, lo strumento è in grado di produrre sino ad 11 frequenze complementari ad una nota. Pertanto l’esaminatore, azionando dei cursori, potrà variare non solo l’intensità e la frequenza del tono, ma anche la quantità delle corrispondenti armoniche sino ad un massimo di 11. Un display segnalerà a quale strumento corrisponde, se reale, quella combinazione armonica (Fig. in basso).


L’obiettivo è di studiare la capacità del soggetto di combinare tra loro e di estrapolare le armoniche dai rumori di fondo, fornire un giudizio sull’analisi spazio-temporale, in definitiva, al fine di stabilire il timbro

ottimale di ogni singolo bambino.


Ritorna “a farsi sentire” il sacculo endolinfatico. M. Pansini e coll. hanno osservato un gruppo di 120 bambini affetti da sordità preverbale con una perdita uditiva intorno agli 80 dB per le frequenze da 250 ai 4.000 Hz. Questi soggetti furono classificati sulla base del livello di recupero linguistico raggiunto, della via di stimolazione acustica impiegata (aerea, ossea, mista), dello stato di tensione della voce (tesa, lassa, normale), dello spettro vocale (alto, basso, bitonale, normale) e dello spettro di articolazione (completo, incompleto, insufficiente), dell’intonazione, della relazione tra ritmo, movimento e parola (coordinata, incoordinata), della quantità di struttura musicale acquisita (buona, insufficiente) e infine, dell’abilità ad imitare il ritmo musicale.


I bambini sono stati studiati e classificati anche per quanto concerneva la loro funzionalità vestibolare. Fu subito rilevato che i livelli riabilitativi raggiunti erano migliori nei bambini sordi che presentavano una buona funzionalità vestibolare. D’altronde sono gli infrasuoni, quasi fungessero da pace maker, a permetterci la percezione del ritmo sonoro, dell’intonazione e della melodia e tale sensazione, si è detto, è mediata dal sacculo endolinfatico.


In conclusione la fase diagnostica della sordità preverbale non dovrà limitarsi ad una diagnosi audiometrica, ma dovrà proporre una seconda fase che, con l’ausilio dell’audiometria musicale e dell’esame otoneurologico, ci permetta di essere nelle condizioni di personalizzare per ogni bambino un iter riabilitativo logopedico coadiuvato da stimolazioni ritmico-musicali legate al timbro ottimale individuale ed eventualmente, da esercizi posturali.

La base organica delle nostre rappresentazioni dello spazio e del tempo è condizionata dai rapporti esistenti tra l’udito, le sensibilità visiva e tattile, mediati dal labirinto posteriore.


Grazie alla ricerca otoneurologia e al coinvolgimento di esperti pedagogisti musicali sarà possibile attuare un percorso riabilitativo che dal corpo giunga al movimento, migliori la propriocezione e l’equilibrio, stimoli la funzione (e non la capacità) uditiva per giungere, infine, ad un linguaggio ricco di prosodia e pertanto “musicale”. Parafrasando un noto film di Carlo Verdone, dovremmo affermare “un sacculo bello”.


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