Bambini e scuola

Differenze tra autismo e sordità nei bambini

Il prof. Massimo Borghese ci spiega approfonditamente come riconoscere una perdita uditiva dalla possibile diagnosi di autismo nei bambini.
Foto Mancante
Dott. Massimo Borghese 13/11/2018 10:22
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Nelle terminologie comuni e più frequenti, si è soliti distinguere le ipoacusie in: trasmissive, percettive o neurosensoriali, e miste. Soprattutto in quanto foniatra, ossia specialista in fisiopatologia della comunicazione, vorrei soffermarmi sulle differenze esistenti nell’ambito delle neurosensoriali, nonché tentare di contribuire a chiarire un equivoco frequente sull’influenza delle ipoacusie lievi, sullo sviluppo del linguaggio e più in generale della comunicazione. Per quanto riguarda il primo punto, ritengo sia molto importante distinguere i deficit cocleari da quelli retrococleari. Anche in questo caso c’è da citare una più diffusa abitudine a soffermarsi maggiormente sul problema soglia uditiva, se non addirittura sul semplice “sente o non sente?”, quando ci si trova in presenza di bambini con disturbi o assenza di linguaggio, come accade sempre più frequentemente trovandosi in presenza di sindromi autistiche, che rappresentano un tipo di patologia in costante aumento.

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Autismo e problemi di udito nei bambini

Molti medici, nell’approccio diagnostico all’autismo, richiedono un esame ABR (potenziali evocati uditivi) per “sapere se il bambino ci sente o no”, tranquillizzando poi i genitori se tale esame dovesse far identificare il piccolo paziente come normoudente. Respingo questa standardizzazione di procedura, innanzitutto perché posso asserire dopo trenta anni di professione foniatrica, che un bimbo sordo si distingue facilmente da un autistico, per cui solo raramente può alimentarsi un dubbio sulle capacità uditive di un autistico, i cui sintomi sono fin troppo evidenti anche a prima vista. Ma anche nell’ambito di una sindrome autistica, il problema uditivo è un altro, e spesso è ignorato dai cosiddetti operatori del settore.

Negli autistici, infatti, il deficit non è di tipo quantitativo e cocleare (la coclea è il trasduttore dell’energia meccanica vibratoria trasmessa da timpano e ossicini dell’udito, in energia nervosa) ma è di tipo qualitativo e retrococleare, riguardante cioè le vie nervose adibite al trasporto degli impulsi uditivi già raccolti a livello cocleare, ed inviati verso la corteccia cerebrale.

Durante questo lungo viaggio, tali impulsi vengono processati nelle cosiddette vie uditive centrali che incrociano aree encefaliche con funzioni motorie, attentive, cognitive, elaborative… grazie alla cui azione si realizzano quelle funzioni percettive basilari per la comunicazione, delle quali, le prime tre sono:

1. La coordinazione sensomotoria: girarsi verso la fonte di provenienza dello stimolo sonoro (la mamma che chiama il bimbo, ad esempio).

2. La separazione figura sfondo: prestare attenzione, tra i tanti stimoli sonori provenienti dall’ambiente, solo a quelli utili ai fini comunicativi (le parole e la voce della mamma, e non i rumori ambientali, sempre per rimanere nello stesso esempio).

3. La costanza della forma: comprendere il contenuto e il significato di una parola, di una scritta, di un simbolo, anche se prodotti con voci diverse, con aspetti formali diversi, ma sostanzialmente gli stessi.

Dunque, un bambino “che non si gira quando viene chiamato”, non necessariamente è sordo, ma piuttosto può essere carente in coordinazione sensomotoria e in altre abilità percettive da definirsi più “centrali” che periferiche. Sarà pertanto una valutazione clinica funzionale foniatrica e logopedica -piuttosto che strumentale volta alla ricerca di una soglia uditiva- a identificare la presenza di eventuali deficit percettivi, elaborativi centrali, cognitivi, degli stimoli uditivi, in un determinato bambino comunicopatico.

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L’influenza delle ipoacusie lievi sullo sviluppo del linguaggio

Un altro grande equivoco che ritengo sia necessario chiarire, è quello relativo alla presunta influenza di ipoacusie lievi sullo sviluppo del linguaggio. Spesso accade che in presenza di un bambino in ritardo di sviluppo della comunicazione, e dunque della verbalità, si attribuisca alla presenza di adenoidi e conseguente calo uditivo per problemi tubarici (tuba di Eustachio – orecchio medio), la causa del ritardo evolutivo e del linguaggio. La frase più sconcertante che mi capita di sentire al riguardo, è “le adenoidi provocano difficoltà respiratorie e quindi una ridotta ossigenazione cerebrale!”. Altra contestabile convinzione è quella secondo la quale, il deficit uditivo conseguente alla presenza delle adenoidi, influisca sullo sviluppo del linguaggio. Non è una affermazione esatta. Infatti, l’ipoacusia conseguente ai problemi adenoidei tubarici, non presenta mai una soglia uditiva superiore a 30-35 decibel, e affinché un deficit uditivo possa limitare le acquisizioni linguistiche, occorre che sia di almeno 40 decibel. Dunque, non si può attribuire alla presenza di adenoidi, un ritardo di linguaggio o della comunicazione più in generale.